Festa Patronale Sant’Oronzo, Ostuni Brindisi, Puglia – 25 e 26 Agosto

Ammantati di rosso e d’argento, avanzano a passi regali nel bel centro storico della Città Bianca, i cavalli e i cavalieri che prendono parte alla sontuosa Cavalcata di Sant’Oronzo, un rito che si celebra da secoli in onore del patrono, istituito quando i cavalieri nel Seicento portarono in giro per la città il simulacro del santo vescovo, che li aveva salvati dalla peste. Il santo, vescovo e martire, che secondo la leggenda aveva trovato rifugio proprio nelle grotte della campagna ostunese, esaudì le preghiere e, da allora, si ripete il tradizionale corteo in costume d’epoca, che raduna visitatori e fedeli, da tutta la Valle d’Itria e non solo, per assistere al trionfo di trine e merletti, nastrini e gualdrappe, arabescate d’avorio e di porpora, abbinate alle sontuose tenute dei fantini, dal copricapo sormontato dal pennacchio rosso e lo sguardo fiero. Una decorazione accesa, gioiosa e spagnoleggiante, con il chepì e la casacca, che ricorda la tenuta di un torero. Non a caso, infatti, nel Seicento a Ostuni vi era ancora la dominazione del battaglione spagnolo, capeggiato da Juan Zevallos.

Un’altra pagina di storia ostunese è legata alla Cavalcata, quella dei “vaticali”, sorta di corrieri settecenteschi che, devotissimi a Sant’Oronzo, offrirono parte dei loro risparmi per la costruzione della statua in argento, tuttora conservata a Ostuni, e per la realizzazione in pompa magna della festa “il 25, 26 e 27 agosto. E, quando il simulacro, realizzato a Napoli, giunse in città, furono proprio gli orgogliosi “vaticali” a scortarlo a cavallo.

La cavalcata della peste, o dei Devoti, comincia nei salotti delle case dei partecipanti, dove avviene la vestizione dei cavalieri, un momento intimo e vissuto nel segreto delle famiglie, le cui astuzie e consigli si tramandano di generazione in generazione, un patrimonio immateriale preziosissimo, riservato ai familiari e a pochi amici. Ogni decoro è applicato uno per uno, tra cui il bellissimo mantello damascato, con centinaia di paillettes e poi i guanti bianchi, il frustino, tutto sistemato alla perfezione per l’incontro con il santo e per la processione alla fine della quale s’incorona la cavalcatura più elegante. La competizione entra nel vivo con il sorteggio dei numeri per l’incolonnamento dei cavalieri nel corteo, la visita veterinaria e la benedizione delle cavalcature.

Poi ci si avvia verso il punto più alto della città, per attendere l’uscita del santo dalla chiesa. Sant’Oronzo si affaccia dalla Cattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo, tra il concerto delle campane e gli applausi dei fedeli, per l’inizio del corteo, aperto da un trio di suonatori, all’esecuzione di antichi ritornelli con pifferi e tamburi. Il piedistallo del simulacro è scortato dalle autorità e dai prelati, cui segue il folto gruppo dei cavalieri, che avanzano eleganti e distanziati, per permettere a ogni fantino di eseguire piccole coreografie e acrobazie. Chiude la banda, che scorta la processione sino all’ariosa piazza della Libertà, vestita a festa dalle geometrie di luminarie che si ripetono a perdifiato, creando tunnel, gallerie, splendide formazioni di luce, fino al punto di fuga centrale, la cassa armonica, dove il concerto bandistico esegue le arie tipiche della ricorrenza.

Qui, Sant’Oronzo, dall’alto dell’obelisco che sovrasta i resti delle antiche mura della città, assiste compiaciuto alla sua festa, mentre tutt’intorno c’è il ripetersi di gesti, ritualità, consuetudini, sempre le stesse da tempo immemore, sapori antichi e fruscio di abiti nuovi, profumo di zucchero caramellato e strilli d’ambulanti.

A fare da sfondo c’è il bianco, la calce della Murgia meridionale, pietra candida dalla quale affiorano meraviglie di volute e rosoni, come quello della cattedrale, situata in cima al colle più alto, dal profilo morbido che esalta ancora di più la rosa centrale, dove il Cristo Stupor Mundi splende accerchiato da sette cherubini, tra i più belli e ricercati di tutta la regione. Appena fuori la città, invece, è possibile ripercorrere le tracce dei santi Oronzo e Giusto che, cacciati da Lecce, si rifugiarono tra le alture del monte Morrone, in una grotta, ancora oggi visitabile, inclusa nell’architettura del santuario di Sant’Oronzo, da poco restituito alla comunità. Qui si entra, letteralmente, nella pietra, accanto al fonte miracoloso per respirare il fresco della macchia mediterranea e il mistero di una leggenda e di una fede fortissima.