È il gioiello barocco della città di Galatone, il santuario del Crocifisso della Pietà, ricamato di pietra leccese e carparo, quasi rivestito d’oro, come se Re Mida in persona ne avesse sfiorato le superfici. Una luce soffusa, che sembra scaldare l’animo, avvolge il sontuoso altare maggiore, dove il Crocifisso trionfa, nella sua semplice e intensa autenticità.
Scocca alle 14 della vigilia del dì di festa ovvero il 3 maggio, l’Ora dei Miracoli a Galatone, il momento in cui i devoti ritrovano l’emozione del lontano 1621, quando, secondo la leggenda, dalla nicchia dove si custodiva l’effigie del Crocifisso, la tendina si sollevò e comparve il volto di Cristo, che fissò ad uno ad uno i fedeli, prima di richiudersi. L’icona, ritratta con le mani incrociate sul davanti, aveva cambiato posizione e aveva le mani dietro le spalle. In quei giorni, decine di miracoli costellarono la vita dei galatonesi, i malati guarirono, la fortuna sorrise a quella terra e lo splendido santuario barocco del Crocifisso, punta di diamante del centro storico, fu costruito in soli nove mesi dai cittadini. La storia del Cristo svelato è ancora raccontata nell’affresco in cima al soffitto del santuario, mentre sul pavimento, dinanzi al portale, un buco rimasto grezzo testimonia un altro prodigio: quello di un operaio che, durante i lavori di costruzione della chiesa, cadde rovinosamente a terra battendo la testa, restando illeso per miracolo.
Durante i tre giorni di festa, a inizio maggio, l’Ora dei Miracoli è il momento del silenzio, della preghiera dinanzi alla sacra reliquia della Croce, esposta in chiesa. È questa l’ora delle mani giunte e delle ginocchia adagiate sugli scranni. Un raccoglimento sincero e autentico, preludio all’esplosione della festa più chiassosa, allegra e goliardica.
Si chiama la festa “ti lu panieri”, la ricorrenza di Galatone dedicata al Santissimo Crocifisso della Pietà, perché custodisce come un tesoro, preservato dalla comunità, tutte le sue tradizioni antichissime, le sue ritualità, le consuetudini di una volta, tornate in auge grazie al lavoro meticoloso di salvaguardia del comitato festa.
Così, dopo circa quindici anni di fermo, la festa è di nuovo solennizzata dal fuoco pirotecnico diurno. Nella vicina chiesa di San Sebastiano, splendido edificio barocco, prolungamento del convento dei Domenicani, si allestisce la profumata Infiorata ma, soprattutto, si svolge ancora, all’uscita del simulacro sul sagrato della chiesa, la pittoresca asta per aggiudicarsi il pregiato fiocco da appuntare al bavero della giacca e rientrare tra i portatori della statua durante il corteo. È un onore portare a spalle la statua del Crocifisso, così come essere tra i primi, all’inizio del corteo religioso, a deporre ai piedi del Cristo la busta bianca, con la cospicua offerta in denaro, che servirà per finanziare l’organizzazione della festa.
Ogni quattro anni, poi, è la comunità intera a sfilare per le strade di Galatone, vestita in abiti d’epoca romana, per la scenografica ricostruzione del Carro di Sant’Elena, teatrale e maestosa rievocazione storica che ricorda il passaggio dell’imperatrice Elena, madre di Costantino, mentre riporta a Roma la croce santa, trovata a Gerusalemme sul Calvario. È un vero e proprio spettacolo, questo, che coinvolge tutto il paese, nella preparazione dei vestiti e dei carri e nell’elaborazione della sfilata.
Cavalieri, aquiliferi, bighe, suonatori di trombe, senatori, centurioni, arcieri, frombolieri armati di fionda, pretoriani e poi fanciulli e fanciulle con serti di edera e fiori tra le braccia e, in ultimo, la splendida Elena, che abbraccia la croce, in cima al regale carro che incede lento per le strade trainato da cavalli. È tra le più antiche rievocazioni storiche del Salento, quella del carro, che coinvolge centinaia e centinaia di figuranti, tutti del posto, e che qui, nelle terre vicine all’Arneo, a un passo dal mare Jonio, assume anche un valore ancestrale di riconciliazione con la natura, un trionfo della primavera, un momento di festa al quale partecipano spettatori di tutti i paesi limitrofi, a metà tra la religione e il paganesimo, un rituale che un tempo segnava la ripresa delle attività agricole di inizio estate.