Festa Patronale Santi Pietro e Paolo, Galatina Lecce, Puglia – 28 e 29 Giugno

Le chiamavano “tarantate”, perché, si diceva, morse dalla taranta, dal ragno infido che popolava le campagne salentine. E per salvarle, c’era solo la misericordia di San Paolo e la musica, quella dolce e incessante del violino e quella incalzante del tamburello. C’è una foto, nella piccola cappella di San Paolo, al civico 7 di via Garibaldi, all’interno di palazzo Tondi-Vignola a Galatina, che ne testimonia ancora la storia e, chiudendo gli occhi, è possibile immaginarle, vestite di bianco, a piedi scalzi, muoversi freneticamente finché il veleno, a suon di musica, non fosse stato estirpato, o forse, più probabilmente, finché il male di vivere, la rabbia repressa, l’angoscia e la voglia di gridare, non fossero state estinte, vorticosamente, attraverso la danza, o con l’aiuto dell’acqua benedetta, recuperata nel pozzo di San Paolo, ancora esistente.

Giungevano da tutta la regione, con i carretti o a piedi, all’alba del 29 giugno, per chiedere la grazia a “Santu Paulu de le tarante”, per tornare a una vita normale, per non destare più scalpore nel paese, nella speranza di esorcizzare il male oscuro. E davanti al sagrato della chiesa, o all’interno della cappella, si radunava anche un nugolo di curiosi, affascinati e intimoriti, davanti alle contorsioni grottesche di donne, ma anche uomini, pizzicati dalla tarantola, o da “lu scursune”, che avevano perso la retta via e che s’erano ritrovate tutte ai piedi di una chiesa, tra fisarmoniche e violini. Oggi delle “tarantate”, resta il mito, la fascinazione, la sensazione di avvicinarsi a qualcosa che non è ancora stato decifrato e resta custodito, come un seme prezioso, nel patrimonio della cultura orale e immateriale, nella voce sommessa di chi le “tarantate” sostiene di averle viste di persona, di ricordarne le grida e lo sguardo perso nel vuoto, mentre tutto intorno esplode la festa grande, come da tradizione, tra bancarelle, giostre e luminarie.

Il barocco del sontuoso centro storico di Galatina risplende e accoglie centinaia di visitatori e fedeli, che ancora oggi accorrono a chiedere una grazia a San Paolo e al suo compare San Pietro. Due santi magnanimi e generosi, che, secondo i racconti e le testimonianze, hanno dispensato benedizioni e miracoli. Sin dal loro arrivo in città. Sì, perché la storia della festa patronale di Galatina è soprattutto una storia di ospitalità e riconoscenza.

Si narra, infatti, che San Pietro giunse in agro galatinese durante i suoi viaggi di evangelizzazione, e sostò presso il podere Pisanello, in contrada San Vito. Ancora oggi si conserva, nella cattedrale, la pietra dove si dice si sia adagiato il santo per riposare. Anche l’apostolo Paolo si recò a Galatina e, ospitato da un religioso del luogo, si abbeverò in quel pozzo, miracolandone l’acqua e concedendo al feudo che lo aveva accolto l’immunità dal veleno dei ragni e dei serpenti. Veniva da Roma, diceva la leggenda, e si fermò proprio nel Salento, legando per l’eternità il suo nome a quello della bella Galatina. Era costume quindi che la tarantata, dopo aver ballato sino allo sfinimento, venisse dissetata con l’acqua di San Paolo, da quel pozzo che, nonostante oggi sia chiuso, resta una tappa obbligata per chi esplora per la prima volta il paese delle tarantate.

“Santu Paulu meu de le tarante, ca pizzichi le fimmene a mmenzu all’anche”, o ancora “Lassatile ballare ca è tarantata, ca porta la taranta sutta lu pete”, la storia di San Paolo e dei suoi miracoli risuonano negli stornelli, oggi conosciuti quasi in tutto il mondo e approdati persino in televisione. Pochi sanno che narrano storie antiche, di vita dura dei campi, di alienazione e patriarcato, di tempi in cui, per sfuggire al ritmo impietoso del quotidiano, ci si poteva anche fingere pazzi e respirare follia e libertà per la durata di uno stornello.

La festa di Galatina conserva allora quell’anima duplice, quella festosa, con il lunapark, le allegre bande da giro che attraversano il paese, la fiera dei commercianti, la superba corona di luminarie che ingioiella il centro storico, firmato dagli scalpellini del barocco pugliese, e quella più pensosa, quasi riflessiva, dove la gioia della ricorrenza invita anche al ricordo e alla salvaguardia della memoria, per capire da dove veniamo e chi, in un tempo non tanto lontano dall’oggi, siamo stati.