Festa Patronale Sant’Antonio da Padova, Cutrofiano Lecce, Puglia – 17 Febbraio

Il gesto ancestrale di scaldare le mani dinanzi al fuoco è il cuore della festa in onore di Sant’Antonio di Padova a Cutrofiano. Qui, il legame tra il fuoco e il santo è atavico, in virtù della generosa foresta un tempo esistente che offriva la sua legna per tenersi al caldo nelle notti d’inverno; lo stesso fuoco, che oggi mantiene vive le fornaci dove brucia la terracotta.

In questo paese ricco di storia del Basso Salento, dove la pietra racconta ancora leggende e si modella docile nelle mani degli artigiani della terracotta, la ricorrenza del santo di Padova è celebrata per ben tre volte: in estate, nella data canonica del 13 giugno, dai cutrofianesi conosciuta come “Sant’Antoniu piccinnu”; in agosto, con la festa grande e più popolare, alla quale partecipano anche i tanti turisti e i cutrofianesi fuorisede, nota come “Sant’Antoniu crande”; in inverno, con l’appuntamento del 17 febbraio, “Sant’Antoni te le fòcare”, che porta con sé la suggestiva tradizione delle “focareddhe”, i piccoli falò che si accendono in strada al passare del santo. Un’usanza antichissima, che trasforma la cittadina intera in un firmamento di fuochi, in ricordo di quella notte di terremoto nel 1811 in cui tutti i cittadini scesero in strada al freddo e accesero sparuti falò per riscaldarsi.

Furono colti alla sprovvista dal tremore della terra, i cutrofianesi, costretti in pieno inverno ad abbandonare le abitazioni e a ritrovarsi per le vie, dove improvvisarono tanti piccoli bracieri di fortuna per tenersi al caldo e radunarsi intorno alla fiamma, non prima però di aver tirato fuori la statua del santo dalla chiesa, per metterla al salvo e coinvolgerla nella preghiera. La mano di Sant’Antonio arrestò il sisma e, da allora, si tramanda la consuetudine di omaggiare il patrono con il calore del fuoco, un tempo usato anche dai cutrofianesi stessi per riscaldarsi, portandosi via gli ultimi ceppi ardenti a festa finita, per riempire i bracieri di casa con quelle ceneri benedette.

Come da tradizione, i fuochi, ancora oggi composti in prevalenza da sterpaglie, tralci di vite e materiali reperiti dalla potatura e dalla pulizia delle campagne vicine, vengono accesi al passaggio della processione, che parte nel tardo pomeriggio dalla Chiesa di Santa Maria della Neve. Quando la statua arriva in prossimità della “focareddha”, questa prende vita, ogni rione accende il suo falò accompagnandolo a musica o a un conviviale banchetto allestito per i cittadini e per gli avventori.
Il simulacro avanza, sul prezioso baldacchino color d’oro e d’avorio, scortato dalle autorità religiose in tunica bianca e attorniato dai fumi delle ramaglie alle quali è stato appena appiccato il fuoco. Una processione, quasi teatrale, che incede lenta, lungo le eleganti strade del centro storico, gremite di fedeli. Allo strepitio delle fiamme e alle marce eseguite dalla banda da giro per il corteo, fa eco il fragoroso scoppio dei fuochi d’artificio. L’elemento salvifico e purificatore per eccellenza, il fuoco, principe dei riti religiosi nella stagione invernale, accende la cittadina per una ricorrenza che ha un sapore pagano e contadino, e ricorda i tempi in cui s’andava alla ricerca di tralci di vite per assicurarsi un po’ di tepore tra le mura domestiche.

Crocicchi, piazzette, vicoli, stradine, campagne sul sagrato della chiesa e negli spiazzi del paese, fino al grande falò collettivo nella piazza principale, sono più di quaranta i falò che costellano la cittadina, un caratteristico rosario di luci e calore, un paesaggio unico di devozione, che sembra quasi volersi far ammirare dal cielo, per compiacere il santo.

Intorno a questo itinerario diffuso di fede e tradizione, si accende la festa popolare, quella delle bancarelle, degli ambulanti e dei gustosi corollari culinari, con le pietanze da strada tipiche delle feste invernali: la carne alla brace, le salsicce, le bruschette, le patatine fritte, i pezzetti di carne di cavallo e l’accompagnamento immancabile del buon vino locale. Si fa festa e ci si ritrova, oggi come allora, intorno al braciere, in un momento di condivisione e devozione, una ricorrenza che ha anche il merito di rafforzare la tradizione e i legami all’interno della comunità, merito di una popolazione, quella cutrofianese, devota da secoli al santo di Padova, al quale, come testimonia il censimento dei beni architettonici della cittadina, sono dedicate ben 106 edicole votive.