Festa Patronale Sant’Antonio Abate, Rocchetta Sant’Antonio Foggia, Puglia – 16-17 Gennaio

È tutta nel suo nome, Rocchetta Sant’Antonio, paesino medievale arroccato tra i Monti Dauni che, a inizio anno, si accende in nome del santo patrono. Si è fermato il tempo, in questo villaggio di circa duemila abitanti, tutti in piazza a scaldarsi le mani davanti ai falò quando si festeggia Sant’Antonio Abate. Come succede spesso, in questa landa, il sacro si fonde con il profano, il racconto del santo che mise in fuga i nemici si scrive negli annali e nelle cronache, parte integrante della pietra, dell’architettura, della fortezza, che con il suo torrione sorveglia e s’innalza sulla distesa di tetti e strade.

Secondo la leggenda, il santo, nato in un Egitto ancora lacerato tra gli ultimi scampoli di fede pagana e l’avanzare del primo cristianesimo, apparve alle truppe nemiche e infedeli e le mise in fuga brandendo tra le mani due torce infuocate. Sono allora le fiamme a rievocarne la misericordia nella grande festa di gennaio, partecipata da tutto il paese e anche dai fuorisede e dagli emigranti che, per l’occasione, prolungano le ferie natalizie.

È fatta di pietra, Rocchetta Sant’Antonio, e tra le sue pietre custodisce preziosamente la sua tradizione. Ultimo baluardo pugliese, prima del territorio campano e lucano, Rocchetta si erge tra campi di grano e distese di macchia mediterranea, osservando placida lo scorrere del fiume Ofanto. Qui, la leggenda e la devozione di Sant’Antonio si annidano tra il basolato e la campagna, si raccontano nelle edicole votive ai crocicchi del centro storico, narrano la storia senza tempo del santo straniero che salvò la piccola rocca dalla tragedia.

Non solo di misericordia, ma anche di generosità sono prodighe le braccia di Sant’Antonio, secondo un curioso aneddoto che risale ai tempi del secondo conflitto mondiale. Era il 1943 quando la popolazione, assediata dalla miseria, si riversò nei pressi della stazione portando in processione il santo. Arrivati nei pressi dei binari, i cittadini scorsero un treno carico di merci e lo assaltarono, caricando sul carro che serviva per trasportare il simulacro ogni tipo di mercanzia, soprattutto cibarie e giocattoli. La statua, ormai spodestata, restò sino al termine della guerra in una chiesetta vicino alla ferrovia mentre i cittadini portarono ai loro bimbi i giocattoli. “Questo è un dono di Sant’Antonio”, dissero alle famiglie, dando vita a una dolce abitudine che dura ancora oggi.

Una storia, questa, che rientra infatti nelle consuetudini della festa paesana, che prende il via il 15 gennaio proprio con la consegna dei regali ai piccoli allievi della scuola dell’infanzia e degli asili. Si aspetta, invece, il giorno della vigilia per accendere il delizioso borgo con i tanti falò, con il corteo della fiaccolata che parte dalla casa del primo cittadino e, lungo il suo percorso, appicca il fuoco alle fascine disseminate per le strade. Consuetudine e ritualità, abitudine e anche un pizzico di superstizione, il fuoco è l’elemento che segna la fine del vecchio anno e l’inizio del nuovo, che comincia con la benedizione di Sant’Antonio sotto gli occhi che brillano degli spettatori.

Rocchetta si muta così in un suggestivo rosario di torce, rischiarato dal calore delle fiamme, che spinge tutti gli abitanti a lasciare le abitazioni e unirsi alla cerimonia. E ai ricchi banchetti offerti ai fedeli: si dorano al fuoco le carni delle sontuose bancarelle allestite in segno di devozione, dove trionfa il piatto del dì di festa: il goloso “ruot r patan e lampasciun cu la capuzza”, ovvero lo stanato con la testa e i pezzi dell’agnello, con contorno di salsiccia locale, lampascioni e patate, pietanza regina della ricorrenza, portata in tavola anche a pranzo, in famiglia.

La festa continua il 17 gennaio con la tradizionale benedizione degli animali da compagnia e da cortile, patronato storico del santo abate.