Festa Patronale Sant’Antonio Abate, Novoli Lecce, Puglia – 16 e 17 Gennaio

È la pira dei record, quella che ogni anno è sempre più alta. L’enorme cono di tralci di vite appena potata trionfa, in larghezza, in altezza e per quantità di legna. Come scrive Raffaele Nigro, “il fuoco di gennaio arde il gelo dell’inverno, chiude il volto dell’anno e apre una zona franca, quella del Carnevale”. E sicuramente, tra i tanti fuochi d’inizio inverno, svetta quello di Novoli che, il 17 gennaio, innalza la pira più alta in nome di Sant’Antonio Abate.

Una festa dove ricorrono e convergono consuetudini popolari e abitudini contadine, quelle della raccolta della legna per ripulire la campagna, dando fuoco a sterpaglie e rami secchi, e prepararla al letargo invernale, quella di ingraziarsi il santo per un buon raccolto, quella di fare incetta dei preziosi tizzoni, per rinfocolare il braciere di casa o, per i giorni di maltempo, disperderne le ceneri nell’aria e placare le ire del santo. Una ricorrenza che nasce quindi dalle ceneri, è proprio il caso di dirlo, della vita agricola di una volta, dall’abitudine e necessità, di unire alla devozione l’utilità dei pragmatici gesti contadini. Una ricorrenza che sembra quasi il prolungamento delle festività natalizie visto che a Novoli, a gennaio, tutto riprende non dopo l’epifania, bensì dopo la “fòcara”, per la gioia di grandi e piccini.

Parte del Patrimonio della Cultura immateriale della Puglia, Sant’Antonio a Novoli è un vero e proprio rituale, partecipato da una platea di spettatori provenienti da tutta la regione, una cerimonia con preparativi che iniziano a dicembre e continuano fino ai giorni appena precedenti la festa, con la potatura e la raccolta dei tralci di vite. Si comincia a costruire la “fòcara” sin dai primi giorni di gennaio: le decine di migliaia di fascine si trasportano nel grande piazzale, per essere accatastate una dopo l’altra fino a innalzare la maestosa pira, che raggiunge anche i 25 metri di altezza e i 20 di diametro. Una costruzione che necessita di esperienza e perizia, perché il falò deve crescere simmetricamente, per resistere al proprio peso, ai venti forti, e non provocare cadute accidentali di fascine. Occorre immaginare una scala a pioli, che s’inerpica lungo circa trenta metri d’altezza su questa boscaglia scura di rami. Un’immagine quasi metafisica, se la si osserva dal basso, questi semplici gradini verso il cielo, con una trentina di uomini al lavoro su una montagna di legna, una vera e propria catena di montaggio, con le mani che si passano le fascine, dal basso sino alla cima.

Ultimata la pira, ci si dedica alla cesellatura e alla decorazione, con la fase della “bardatura” quando i costruttori portano alla sommità della “fòcara” l’effigie del santo, il quadro realizzato espressamente per il falò, che brucerà insieme alle fascine. Raffigurato con un maialino ai suoi piedi, Sant’Antonio Abate custodisce ben saldo il patronato sugli animali da stalla e da cortile ed è in suo nome che si benedicono cani, gatti, conigli, volatili e altri amici a quattro zampe nella cerimonia che precede la processione. D’altronde, probabilmente, è proprio grazie all’iconografia tradizionale, con l’ignaro suino, che ai cristiani sia concesso cibarsi di maiale, senza preoccupazioni di natura dogmatica. Tuttavia, sulla tavola dei novolesi per Sant’Antonio, ci finisce la prelibata cernia, nel piatto tipico del dì di festa: gli “gnocculi” fatti in casa, un formato di pasta tradizionale, piccolissimo, come un semino, conditi con il sugo di cernia.

Come un cero benedetto, la “fòcara” arde tutta la notte, mentre in cielo le geometrie delle luminarie s’incrociano con i ventagli dei fuochi d’artificio e, per le strade, serpeggia la processione, che procede al ritmo della banda, mentre ai lati della carreggiata si assiepano i banchetti gastronomici, con i “turcinieddhri” grigliati sul momento e la carne arrostita. Per tre giorni, tutto il paese è in festa, per un appuntamento imperdibile, popolare e popolano, dove vige ancora la consuetudine della pubblicazione dei quattro giornaletti satirici, tra cui lo storico “Le fasciddhe te la fòcara”, nato da un’importante agitazione culturale decenni orsono, e la sapida e seguitissima Cernia, che rallegrano la cittadinanza con la cronaca delle vicende tragicomiche della comunità.