Si chiamava “male d’arco”, un tempo, perché si credeva che l’itterizia la portasse l’arcobaleno, perdendo uno dei suoi colori. E per salvare i più piccoli, s’invocava allora Santa Marina, sventolando le “zagareddhe”, i tanti nastrini colorati, al suo passaggio per le strade del paese. È una festa antichissima, quella che nel cuore dell’estate la piccola Ruggiano, graziosa frazione di Salve, nel Capo di Leuca, dedica alla santa martire, la cui statua è conservata nel meraviglioso santuario secentesco, raffigurata con un martello per atterrare il demonio che placa con il calcagno.
È festeggiata in tutto il Salento, Santa Marina, la santa che venne dalla Turchia e visse per quasi tutta la vita sotto mentite spoglie, in abiti maschili e in un convento di soli uomini, per seguire le orme del padre. La santa bella per definizione è Santa Marina, vittima della calunnia di una donna che, rimasta incinta di un soldato, indicò in Marina l’artefice del misfatto, portandola al martirio. Ma risplende ancora, la santa, con le gote rosa e i capelli castani che sembrano quasi mossi dal vento, circondata di fiori e con un piede ardito che strozza il male ai suoi piedi. “Arcu, bell’arcu”, così cominciava la preghiera rivolta alla santa, invocata affinché cambiasse il colore della pelle, schiarendola e restituendole un colorito sano: “ci ti vide e no te saluta, te culure cu se tramuta”, continua, alludendo ai miracolosi poteri di Santa Marina.
Recarsi a Ruggiano nei giorni di festa significa vivere di persona una delle ricorrenze storiche del patrimonio culturale immateriale di tutto il Sud Italia. Nella raccolta piazzetta, si radunano bancarelle, mercanti di dolciumi e giocattoli, gli allegri mastelli ricolmi di “scapece” stuzzicano le narici mentre la banda attraversa le gallerie di luminarie, e svolazzano, al passaggio della statua, le colorate “zagareddhe”, i nastrini, uno per ogni colore dell’arcobaleno, un modo, tutto meridionale, per concretizzare la fede, esorcizzare la paura della malattia e tramutare il timore della cattiva salute in preghiera e voglia di vivere. I nastrini, gioco di bimbi e amuleto apotropaico, decoro e oggetto di fede, si benedivano e si legavano al polso o al braccio. Sono loro, ancora oggi, a custodire il cuore di questa storia antichissima, di un passato rurale in cui ammalarsi d’anemia, d’itterizia o del “morbo regio”, quello che aveva lo stesso colore dell’oro, era una tragedia e significava perdere un paio di braccia per nutrire la famiglia.
Se in paese esplode la festa, torna il silenzio compunto e carico di storia varcando la soglia del santuario, costruito sulle fondamenta di un’antica chiesetta medievale, meta di pellegrinaggi da tempo immemore, aperto durante i giorni di festa, un’occasione per lasciarsi meravigliare dalle splendide pitture murali perfettamente conservate. Sino a pochi decenni fa, accanto al santuario, restava ancora il pozzo, da cui bere l’acqua miracolosa e, tra le bancarelle, si trovava l’erba di Santa Marina, in sacchetti, conosciuta per le sue proprietà officinali, diuretica e protettiva per il fegato.
All’interno del santuario, Santa Marina trionfa sulla parete centrale, sopra l’altare realizzato nel Settecento, omaggiata dall’ossequiosa presenza della Madonna del Segno, di matrice bizantina, degli apostoli, dei santi e di originali medaglioni raffiguranti scorci di paesaggio salentino. La santa, alla quale le giovani spose si rivolgono, per via dell’accusa ingiusta subita, ha una posa regale e fiera, e viene invocata e pregata per avere un parto sicuro, di un figlio sano e di latte a sufficienza per nutrirlo.
Qui, sin dalle prime ore della mattina del 17 luglio, la folla si raduna in preghiera, in attesa di avvicinarsi alla santa. Si tira fuori il fazzoletto e, discretamente, si strofina sui piedi del simulacro, per poi passarlo sul viso e conservarlo in tasca, prezioso antidoto ai malanni. Un gesto arcaico e carico di significato, toccante per la sua semplicità. Un’usanza che, come molte nel Salento e in tutto il Mezzogiorno, resta a metà strada tra la fede cristiana e il paganesimo, e rimane ancora viva testimonianza di un’epoca in cui i santi erano confidenti e vicini di casa, prossimi al popolo e alle sue sofferenze.