Vale la pena immaginarlo, e andare a vederlo di persona, il piccolo paese di Locorotondo, nel cuore della Valle d’Itria, splendido balcone con vista sulle vigne, imbevuto di sacro e calura, quando la notte di Ferragosto resta sveglio per celebrare “a Diène”. Ovvero, la Diana, il tradizionale percorso notturno che parte alle primissime ore del giorno, in onore del santo patrono, San Rocco. Sono tutti presenti all’appello, gli strumenti musicali della devozione, quelli della banda locale, il tamburo, il clarino e poi la voce, quella dei fedeli, che si unisce in coro nell’intonare la nenia che accompagna il lento corteo. Si dice che un tempo fosse la sveglia dei soldati, alle prime luci del mattino, questa musica che attraversa il paese anticipando il sorgere dell’alba.
Ci si sveglia presto, infatti, per “battere la Diana”, come recita l’espressione locale, e avvolgere i caratteristici tetti appuntiti delle “cummerse”, le abitazioni tipiche della parte più antica del paese, con questa dolce cantilena. Una lenta “matinata”, una sorta di serenata al santo, intonata da quasi cent’anni, composta, secondo gli storici, dal musicista locorotondese Vincenzo Calella, nato nel 1829, che mise insieme una melodia “andante e sostenuta”, desideroso che i suoi concittadini iniziassero la giornata con buonumore. Oggi l’esecuzione è affidata ai gruppi orchestrali Concerto Bandistico Fratelli Caramia e alla Civica Banda Musicale “Giudili e Calella”. Ai musicanti, durante il corteo, si accodano poi cittadini mattinieri e forestieri, lieti di unirsi alla camminata, mentre il resto della popolazione attende con impazienza nel letto le note della “Diana”, segno che i giorni di festa stanno per cominciare.
Questa consuetudine è l’incipit della ricorrenza di San Rocco, uno dei quattro patroni della graziosa Locorotondo dove, a dividersi la devozione dei fedeli, ci sono anche San Giorgio, Santa Maria la Greca e Santa Felicissima. Ma è la festa di San Rocco, celebrata in piena estate, con il ritorno di residenti ed emigranti, oltre al normale flusso turistico che arriva in Valle d’Itria, a fare di questa ricorrenza un appuntamento imperdibile, atteso e preparato per settimane da tutta la cittadinanza. Un tempo, infatti, la festa segnava un momento di riposo, quasi un conforto e una ricompensa per i contadini quando, finite le semine estive, ci si concedeva una pausa prima dell’inizio del lavoro autunnale. Una ricorrenza cristiana quindi ma che affonda le sue radici nelle celebrazioni pagane e nel calendario agricolo di una volta, che seguiva lo scorrere dei cicli naturali e l’avvicendarsi delle stagioni, e che ha innalzato a patrono del paese il santo viandante per eccellenza, immortalato nello splendido simulacro con il mantello rosso, il bastone del camminatore e la conchiglia del pellegrino appuntata alle vesti. San Rocco guarda in basso, volgendo lo sguardo ai suoi fedeli con misericordiosa, come probabilmente fece nel XVII secolo quando, secondo la leggenda, salvò Locorotondo dalla peste.
Alla melodia dolce della vigilia, segue lo scoppio e l’allegria dei fuochi d’artificio che si contendono la vittoria nella gara pirotecnica dell’ultimo giorno di festa, che si tiene nella notte tra il sedici e il diciassette agosto. Una competizione che coinvolge tre rinomati maestri fuochisti, fiori all’occhiello dell’arte pirotecnica meridionale. L’attesa trepidante per la gara comincia a serpeggiare già durante le ultime note del concerto serale eseguito dalla banda accolta nella cassa armonica, preludio allo spettacolo di fuochi d’artificio. I locorotondesi doc conoscono bene i posti d’osservazione migliori: così, mentre nel cielo notturno rimbombano i primi botti di richiamo, la folla si dirige verso il lungomare di via Nardelli, per assistere al superlativo e irrinunciabile congedo della festa.
San Rocco si festeggia anche a tavola con il banchetto ricolmo di sontuose e prelibate pietanze, tra cui le “gnumerèdde suffuchète” e l’agnellone al fornello, specialità della Valle d’Itria, terra di pascoli e di maestri della carne al fornello.