«Catalde, vade Terentum». «Cataldo, vai a Taranto».
Sentì questo monito, San Cataldo, mentre andava pellegrino in Terra Santa. Correva il settimo secolo, quando il Santo monaco irlandese si diresse verso la città di Archita. Un pellegrinaggio costellato di miracoli, l’ultimo proprio alle soglie del territorio tarantino quando, imbattutosi in un cieco, con una semplice carezza, gli restituì la vista.
Alla notizia di un uomo con fama di santità in visita alla città, i tarantini si allertarono, accogliendolo con grande trasporto. Considerato alla stregua d’un vescovo prodigioso, San Cataldo fu sepolto nell’antica cattedrale, distrutta poi dalle incursioni saracene e ricostruita mille anni dopo, quando fu ritrovato il sarcofago del Santo irlandese, riconosciuto da una crocetta aurea con su inciso il nome Cataldus.
Primo atto solenne della festa patronale è “u pregge”, ovvero il privilegio, cerimonia in cui il primo cittadino e il tesoriere del Capitolo metropolitano firmano un atto solenne, con cui l’ammistrazione locale riceve in consegna dalle autorità religiose il simulacro argenteo del Santo e ne diviene custode, impegnandosi a restituirla integra al termine dei festeggiamenti civili.
La festa esplode così dall’8 al 10 maggio nella Città dei due Mari, un evento atteso da tutti i tarantini, anche quelli fuorisede ed emigrati, che prenotano il treno in anticipo per “scendere a Taranto” i giorni di San Cataldo.
“A San Cataldo, finisce il freddo e comincia il caldo”, recita un vecchio adagio popolare, per una festa che, in questa terra di fede e mercanti, di acqua santa e salata, non può che coinvolgere lo Jonio, che si distende ai piedi della città, e coincide per molti con l’inizio della stagione balneare.
È la solenne e impressionante processione a mare il cuore della ricorrenza. Nelle ore pomeridiane dell’8 maggio, dal sontuoso Cappellone della cattedrale, il prezioso simulacro d’argento discende portato a spalla dai confratelli, per essere condotto su un carro trionfale alla volta del porto. Qui l’effige del Santo è imbarcata su una nave della Marina Militare, che lambisce la rada del Mar Grande e, attorniata da una flotta di pescherecci disposti a protezione del Santo monaco irlandese, si dirige per l’approdo alla rampa della discesa cosiddetta del Vasto. All’imbrunire, lo scenografico passaggio delle imbarcazioni lungo il canale navigabile è uno spettacolo unico, impreziosito dalle cascate di fuochi d’artificio che sembrano sbocciare dal profilo del Castello Aragonese e dai fedeli esultanti, cui fanno eco le sirene delle barche, in un clima di euforia e di gioia collettiva. Dalla nave che scorta il Santo, l’arcivescovo impartisce la benedizione ai pescatori, alle acque e alle navi, suggellando nella fede la storia e il presente di una città che ancora oggi vive di mare, dei suoi frutti, delle sue bellezze. Dall’approdo, inizia poi il corteo via terra a bordo d’un carro trionfale. Tutta Taranto vecchia si assiepa ai lati delle strade, si affaccia dalle finestre, lascia piovere sorrisi e petali di fiori sul Santo che porta le sue benedizioni alla comunità. Prima della processione a mare ci si sfida a colpi di abilità e maestria, nel Palio di Taranto che coinvolge i dieci quartieri della città, con la competizione tra imbarcazioni a remi.
Il luogo simbolo della festa è la cattedrale di San Cataldo, o semplicemente il Duomo, la più antica cattedrale pugliese che concentra dieci secoli di storia in un solo edificio. Di stile romanico e in seguito rimaneggiata con decorazioni barocche, la sua facciata mostra elementi lapidei e sculture dedicate ad alcuni santi venerati in città. Particolarmente impressionante è lo straordinario Cappellone di San Cataldo, costruito nel 1671 e poi completato nei secoli successivi. Qui sono conservate alcune spoglie di principi tarantini e la splendida tomba di San Cataldo, dietro la pala d’altare, decorata con madreperla e lapislazzuli, con intarsi di marmo meravigliosi.
Basta fare un passo oltre la soglia della cattedrale, per tornare nell’euforico clima della festa, tra la banda da giro, le luminarie, le giostrine e le bancarelle dei dolci, tra cui il tipico “anello di San Cataldo”, dolce di forma circolare, che rievoca un’altra leggenda: quella secondo cui San Cataldo, in viaggio verso Taranto, trovandosi nel mezzo di una tempesta, lanciò il suo anello pastorale in mare per placare le acque. La tempesta s’arrestò e dall’anello sgorgò una sorgente d’acqua dolce, chiamata citro di San Cataldo, che ancora oggi ribolle nel Mar Piccolo e permette ad un’altra prelibatezza tutta tarantina di crescere in un habitat ideale: la sapida cozza tarantina, la cui salinità è mitigata proprio dalle correnti d’acqua fresca e dolce del mare di Taranto.