C’è un vento leggero sulla piazza della fòcara. Qualche addobbo natalizio inizia a luccicare ancora, ondeggiando al sole. Un vociare intenso accompagna il rumore dei tralci di vite che si sfregano l’un l’altro nelle cataste a terra, appena scaricate da un camion.
Un bambino, nel suo colorato cappottino, con un tralcio in mano corre sulla piazza, tracciando nell’aria improbabili disegni, seguendo il contorno della grande fòcara, che ormai si staglia nel cielo. Si ferma, abbozzando per terra qualche disegno nella polvere, per poi alzare lo sguardo verso quegli uomini, sulla scala, che si passano di mano in mano i fasci di legna. Resta lì, con gli occhi spalancati, dinnanzi ad uno spettacolo antico ma sempre nuovo, quasi magico. Tanti piccoli tralci di vite, tutti insieme, a formare il gigante di legna, il fuoco buono, la fiamma della devozione.
Vicino al muretto poco distante, con le mani in tasca, il nonno lo guarda pensieroso. Quanti ricordi nella mente! Quando la fòcara si costruiva in paese, e si stava lì, ancora, a guardare quella catena umana poggiati ad un albero di oleandro, tra il profumo di pittule e pesce fritto. E poi il santo che, passando sotto la galleria, sembrava anche lui ammirare soddisfatto quella grande opera. Le accensioni “cu le rutelle” e poi i fuochi “alla linea”, dietro i muretti della stazione, aspettando il passaggio dell’ultimo treno prima del via alla gara pirotecnica.
“Nonno, nonno” urla il bimbo “guarda, anche io faccio la fòcara” e con un gesto veloce lancia il piccolo tralcio sul falò. Il nonno sorride.
Domani sarà ancora festa, con i suoi riti, le sue tradizioni, le sue magie. Ci sarà ancora la bandiera, la benedizione degli animali e la processione. E poi la grande accensione, i fuochi pirotecnici, le luminarie. E la scapece, la cupeta, i venditori di piatti. E i dialetti che si mischiano e si sovrappongono, e il fumo, la cenere, e il freddo. E sarà tutto uguale, perchè ogni anno sia diverso. E sarà felice, perchè negli occhi del nipotino ha visto il futuro.
(Elvino Politi)