
Le bande, le bancarelle, le luminarie. Le campane del Duomo rintoccano per la messa prima, “lu Ronzu sta sona”. Sant’Oronzo finalmente è arrivato e Lecce, la città barocca, ritorna squisitamente paese e si “para”, in tutti i sensi, per i tre giorni di baldoria dal 24 al 26 agosto. È un ritorno alla tradizione, alle consuetudini della festa paesana, in onore del santo patrono leccese, che si consuma nel capoluogo salentino e ha il suo cuore proprio in piazza Sant’Oronzo, ai piedi della colonna. Qui, infatti, s’accomoda la cassa armonica, simbolo per eccellenza della festa patronale, e le bande, formazioni d’eccezione con circa 40 elementi, sono protagoniste, con i concertini itineranti e le esibizioni accolte sotto la cupola.
Piazza Sant’Oronzo, proprio come un tempo, è il contenitore privilegiato della festa popolare, dove assiepare le sedie bianche per non perdersi l’inizio del concerto, addentare un pasticciotto caldo o, fino a qualche decennio fa, un “pezzo duro”, por zione di gelato durissimo, ormai quasi una rarità, al bancone di uno dei tre bar storici della piazza, Alvino, Sempione o Buda, aspettando la processione e sfoggiare, anche questa è tradizione, il vestito bello della festa. Il cuore pulsante della città, la piazza con la patinata via Trinchese, diventa un lunghissimo corridoio dove trovare gingilli, girandole e dolciumi, dove comprare a buon mercato piatti e padelle, ma soprattutto un colorato viale dove respirare l’essenza vera della festa.
Sant’Oronzo, la cui esistenza è stata addirittura messa in dubbio di recente, è soprattutto uno stato mentale, per accettare di buon grado che Lecce perda un poco della sua eleganza per tornare pacchiana e chiassosa, indulgere nelle buone vecchie abitudini paesane, ridere con i “culacchi” dei giornaletti della festa e partecipare alla grande “vasca” collettiva, per salutare parenti e vecchie conoscenze. Proprio lì dove ogni mezzogiorno la voce di Tito Schipa, altro simbolo della “leccesità”, intona arie d’altri tempi, lui, il celebre tenore che, proprio per Sant’Oronzo, da ogni parte del mondo tornava a Lecce, per cantare in onore del patrono, in una città che non lo riconosceva più. Prima in onore del santo, infatti, si istituiva anche una rassegna lirica e il grande tenore si esibiva sul palco, tra le inevitabili maldicenze e i tanti omaggi di cuore al maestro, che viveva lontano dalla terra natale per tutto il resto dell’anno.
Sant’Oronzo, volente o nolente, resta a guardare la sua bella città adoperarsi per la festa, vigila sul passeggio agghindato, si lascia solleticare dai palloncini e arriccia le narici per il profumo della “cupeta” o l’odore schietto della “scapece”. Dall’alto della colonna o sbirciando dalla cima del campanile del Duomo, stringe il bastone e protende il braccio destro verso la piazza, in segno di compiacimento, forse si scusa con i compatroni, i santi Giusto e Fortunato, il nipote di Oronzo, portati anch’essi in processione, ma sempre un passo indietro, o probabilmente chiede perdono a Sant’Irene, la vecchia patrona, che lo osserva di fronte, dall’altro lato della piazza.
Patrono dei leccesi, più che di Lecce, il santo martire fu infatti posto a guida della città nel Seicento, per opera di una vera e propria mossa politica da parte dell’allora potentissimo vescovo Pappacoda, che scelse letteralmente il santo e lo impose alla cittadinanza, spodestando Sant’Irene, per fare del suo ordine religioso il più potente in città e accattivarsi le simpatie di Roma.
A distanza di secoli, però, poco contano quei giochi di potere e anche la veridicità della leggenda del martirio. “Santu Ronzu” resta il santo intoccabile, portato con fierezza in processione, festeggiato con il galletto al ragù e la parmigiana in tavola, e un’inevitabile punta d’orgoglio in tutti i leccesi, anche quelli che abbandonano la città per timore del disordine e del rumore chiassoso della festa. Lecce vive la ricorrenza con emozione e impazienza, soprattutto da quando la banda, come si faceva una volta, attraversa davvero tutte le strade della città, dai quartieri più lontani del centro alle marine, dalla zona 167 a San Cataldo, dove il cielo s’illumina a giorno con i fuochi d’artificio sul mare. Un modo, questo, per portare la festa davvero a tutti i cittadini, per poter aprire la finestra, scorgere il campanile, sovrastato dalla banderuola del santo, e poter dire, anche quest’anno, “lu Ronzu sta ssona”.







